
Molti bambini hanno degli amici o dei compagni di classe i cui genitori sono russi oppure ucraini ed in qualche modo hanno preso loro stessi delle distanze uno dall’altro non per aver compreso appieno il conflitto quanto per la percezione delle emozioni in famiglia, certamente condizionate dalla guerra in corso, tanto che i padri di alcuni di questi sono rientrati in patria per unirsi ai combattenti.
I miei figli hanno chiesto di spiegargli le ragioni della guerra, captando ora qualche notizia dai telegiornali ora qualche colloquio dagli amici, trovando in me e mio marito delle serie difficoltà nel cercare di offrire loro una ragione per le guerre in generale, evidenziando nelle loro parole una sorta di “tifoseria” per il solo aver sentito in modo prevalente una causa rispetto ad un’altra.
Ho guardato Fabio e lui ha guardato me entrambi con l’espressione interrogativa, quindi ha esordito da buon livornese dicendo che “Putin puzza di vino e che Zelensky nasconde il fiasco” ma dopo gli sguardi di Matilde e del fratello abbiamo compreso che nessuna battuta toscanizzante ci avrebbe scudato dal parlare della guerra.
Abbiamo quindi fatto ricorso alle nostre competenze di educatori pedagogisti sommate alle esperienze che mio marito ha vissuto nei teatri esteri, riuscendo a confezionare una spiegazione idonea per permettere ai figli di capire con qualche giro di parole che cosa è una guerra ma senza dare una spiegazione a questa specifica guerra; anche al fine di non indurli a schierarsi e prevenire così che, in ipotesi, possano in qualche modo esprimersi con dei loro compagni ed amici russi e ucraini urtandone le suscettibilità.
Parlare di morte e di distruzione con dei ragazzini in prima media significa accompagnarli a comprendere che la morte è reale e non come quella dei film o dei videogiochi, in una guerra in cui la distruzione coinvolge molti civili e non solo le parti in conflitto, uccidendo così dei padri e delle madri con i loro figli per il solo abitare in un luogo invece che in un altro.
Ragazzi che hanno da tempo acquisito la coscienza del significato di morte e del distacco ma al pari degli adulti non ci pensano esoricizzandone le paure, mentre questa guerra impatta in modo tale da non poter “far finta di nulla” ed in fondo non sarebbe nemmeno giusto farlo anche in ipotesi protettiva.
Li abbiamo quindi invitati a pensare a dei loro amici che non si trovano simpatici e che sembrano litigare spesso pur nella stessa classe e vicini di banco, fatto questo li abbiamo invitati ad immaginare se uno di loro potesse avere delle armi per colpire il compagno-nemico il quale a sua volta per difendersi usa altre armi, trovando nelle loro risate la immaginativa ricostruzione di un conflitto nucleare in classe ed anche l’attenzione giusta al concetto che stavamo trasferendogli.
Poi gli abbiamo chiesto chi fosse il compagno più affarista e loro hanno detto quello che si vende le figurine dei pokemon, quindi gli abbiamo suggerito di immaginare cosa farebbe se questi potesse avere l’occasione di vendere delle armi ad uno dei compagni in conflitto, trovando ancora una volta una ridanciana risposta positiva sommata alla fantastica costruzione di un mercante d’armi in erba.
Il successivo suggerimento è stato quello di pensare ai compagni più dolci e buoni della scuola, invitandoli a vederli come le prime vittime della battaglia tra i due amichetti belligeranti, i quali si tirano i colpi incuranti del resto della classe e della scuola.
Giunti a questo punto e richiamata loro la corretta “drammaticità” sempre equilibrata all’età li abbiamo accompagnati a vivere la situazione immaginativa di trovarsi di fronte un bullo più grande e più forte che colpisce un fratello o un amico, dicendo loro che in realtà sono molto scarse le possibilità di fermarlo o di riportarlo a più miti ragioni con i buoni discorsi, al contrario questi colpirà duro convinto che “maggiore è la potenza di fuoco maggiore è la paura” e perciò aumenterà lo spessore della sua prepotenza terrorizzando tutti, in assenza di qualsiasi altro amico che possa intervenire in loro aiuto.
Abbiamo poi chiesto in modo diretto che cosa farebbero in questo caso, senza però fantasticare risposte immaginative ma radicandoli alla serietà dei fatti, notando un pizzico di paura nei loro pensieri, quella che nasce dalla impotenza che si prova di fronte ad una situazione del genere.
Vi sono stati dei silenzi, diversi dalla pause riflessive ma dei veri e propri silenzi.
Questa è la guerra, una totale mancanza di risposte quando servono, di fronte a quelle situazioni per le quali le domande da fare non occorrono più ma è necessario agire e reagire per sopravvivere, sapendo che il solo farlo rappresenta una sconfitta di tutto ciò che ci ha reso fino ad allora felici.
Abbiamo ancora chiesto a Matilde e a Fabio Massimo di immaginare di colpire quel bullo in un modo così forte da abbatterlo a terra, vedendo in loro una sorta di soddisfazione per aver sconfitto la prepotenza e per aver difeso sè stessi. Quindi gli abbiamo detto di immaginare di osservare il bullo a terra e la sua sofferenza causata dai colpi subiti da parte loro, vedendo nei loro occhi l’incredulità nel solo ipotizzare di poter far del male a qualcun altro.
Ancora una volta vi sono stati dei silenzi, diversi dalla pause riflessive ma dei veri e propri silenzi.
Questa è la guerra, silenzi e pause che non consentono di riflettere ma solo di agire e reagire per sopravvivere, indipendentemente da chi abbia sparato il primo colpo.
Infine gli abbiamo suggerito di immaginare la distruzione nella classe e nella scuola a causa della battaglia tra i due amichetti e di individuare ancora una volta nell’amico affarista la possibilità che questi potesse vendere, a guerra finita durante la quale ha venduto le armi, anche la legna i chiodi ed i martelli per ricostruirla tutta nuova, vendendo poi banchi, libri, computer ed anche fornendo degli insegnanti venuti da altri paesi per aiutarli a ricostruire quanto distrutto, diventando però proprietari di quella ricostruzione.
Questa è la guerra, vantaggi per le industrie delle armi, vantaggi per le grandi aziende globalizzate nella ricostruzione del paese distrutto.
In conclusione li abbiamo invitati ad immaginare di fare l’appello della classe, scoprendo che i nomi che mancano sono proprio quelli dei due amici in conflitto, dei bambini più dolci e più buoni della scuola ma il compagno che ha venduto loro le armi è adesso il capoclasse e, il professore che insegna, ce lo ha messo lui dandogli sempre dei 10+ anche se non studia.
Questa è la guerra.
Vi sono stati dei silenzi da parte loro, molto riflessivi questa volta, dai quali trarre le parole giuste da non dire di fronte a dei compagni russi ed ucraini che hanno i parenti che si scannano tra loro senza sapere il perchè, oltre le obbligate bandiere da sventolarsi uno contro l’altro.
Poi ci siamo messi a giocare con tutti e cinque i figli ma, diversamente dalle altre sere, non c’è stata nemmeno la battaglia dei cuscini.
Sara