All’interno delle comunità sociali organizzate la scuola rappresenta un luogo di relazione importante per i bambini ed i ragazzi in piena fase evolutiva, in cui i nostri figli vivono delle intere giornate insieme ai coetanei ed ai compagni differenti tra loro per carattere, aspetto fisico, linguaggio comunicativo, nazionalità con anche delle problematiche di varia natura originate dal rapporto con i genitori per esempio. Allo stesso modo una volta rientrati a casa esprimono tutti gli eventuali disagi che uno studente delle elementari e delle medie percepisce verso i quali i genitori offrono la giusta attenzione per aiutare in poche parole i figli a crescere, a tollerare le frustazioni, a superare le difficoltà nell’apprendimento ed a selezionare anche i cosiddetti compagni meno simpatici o gli immancabili “discoli” talvolta autori di episodi traumatici in danno dei loro compagni di classe o di istituto.

Tutti i bambini di ogni generazione sono passati attraverso dei momenti di prevaricazione, di mortificazione e di sofferenza le cui misure fanno la differenza tra lo spessore tollerabile e la necessità di intervenire sia da parte degli insegnanti che dei genitori, coinvolgendo ora la scuola ora direttamente gli altri genitori ai quali porre di fronte gli agiti dei loro figli.

Ove tutto questo rimane nella corretta misura del buon senso pur con qualche episodio brutto, magari per uno scherzo pesante o per qualche scontro tra compagni di classe, poco cambia nei bambini e nei ragazzi, diversa è la situazione in cui un figlio o una figlia sono coinvolti in più momenti di scontro o di disagio con i compagni e, tornando a casa, trovano una accoglienza sostanzialmente vittimistica da parte dei genitori soprattutto ove questi tendono a giustificare un eventuale episodio di violenza agito dai figli come una “obbligata reazione” ad una provocazione, oppure ad un attacco visto sempre come patito da qualcun altro trovandosi “costretti” a reagire, magari con delle risposte fisiche anche ben assestate perchè apprese in qualche palestra di arti marziali.

Genitori di questo tipo sono coloro i quali tendono a contattare la famiglia del compagno di classe della loro figlia o figlio contro cui ha “reagito”, anche con toni di rimprovero camuffati da bonario confronto ove tutto questo è indice di una vuota prudenza comunicativa da cui emerge però, agli occhi dei professionisti, un chiaro elemento marcatore delle dinamiche della vittimizzazione specialmente nelle parole, “mio figlio ha dovuto reagire perchè mi ha detto di aver subito questo da parte di tuo figlio” oppure “mio figlio forse ha esagerato nel colpire il tuo ma è stato provocato” ed anche “ho voluto dirvi cosa ha fatto vostro figlio contro nostra figlia per farvelo sapere” quasi con una sorta di supponente conoscenza delle relazioni tra gli altri genitori con i loro figli.

I genitori di questo tipo sono anche i primi a punire i loro figli quando sbagliano, magari vietando loro di uscire oppure negando qualche gioco particolare, soggetti anche portatori di valide intelligenze o di competenze utili che, però, scadono di fronte ai meccanismi della loro personale vittimizzazione proiettata sui figli, ai quali tutto questo non solo impedisce di crescere ma li rende abituati alla giustificazione di ogni loro agito costruendo sempre ed in ogni occasione la situazione in cui sono oggetto di qualche prevaricazione altrui, di qualche provocazione, di qualche offesa, di qualche vessazione fino, ogni volta, ad essere “costretti a reagire” oppure a giustificare il loro malessere relazionale espresso nelle difficoltà di socializzazione con i compagni o in una sorta di costante regressione rispetto alla maturità cronologica dell’età fino a manifestare i segnali di un malore o di un costante stato di affaticamento.

Il confronto da parte dei professionisti con questi genitori è molto difficile, perchè oppongono delle difese ben strutturate, fatte di una immagine di maturità genitoriale che scade però di fronte alle loro lacune ed ai meccanismi di sostanziale negazione nel prendere atto che, il disagio dei loro figli, si evidenzia nella esagerata misura della cosiddetta reazione ad un evento il quale accade normalmente nelle classi, dallo scherzo alla battuta pesante che vede invece una risposta caratterizzata da una violenza fisica o verbale importante, per poi tornare a fare i “piccoli” nel lamentarsi con la madre di essere stati costretti a reagire, trovando in questa il formale rimprovero per l’atto compiuto ma, allo stesso tempo, il dannoso terreno della vittimizzazione giustificativa.

Quasi sempre questo tipo di genitori hanno un vissuto fatto di mortificazioni e di reali fatiche per raggiungere un ruolo sociale o una professione, sono paradossalmente delle persone aperte agli altri ma rigidi in famiglia, con molte regole apparentemente semplici nella loro singolarità ma che si trasformano in una prigione in danno dei figli nel loro numero e frequenza. Genitori che camuffano un loro disagio nel momento in cui invece di prendere atto della reale misura del problema, anche piccola, la ingigantiscono a tal punto che negarla sarà giusto “perchè non è così” perchè “questo non è avvenuto” e, infatti, è ben diverso dalla misura originale dalla quale fuggono, o che negano, oppure manipolano in modo strumentale nel confronto tendendo a gestirlo o a ereggersi nella posizione di chi “vuol far sapere agli altri genitori come si sono comportati i loro figli contri i propri” anche con degli atteggiamenti oppositivi e provocatori non sempre tollerabili.

Una bambina o una ragazzina che reagisce violentemente ad una qualche provocazione o scherzo di un compagno, ora perchè fa una battuta fastidiosa, ora perchè fa cadere un astuccio, ora perchè prende la sua penna o cose del genere, manifesta in quel momento il suo disagio, non un problema ma un disagio che potrebbe nel tempo diventare un problema serio.

Una bambina o una ragazzina che, per esempio, sferra uno o più calci forti contro un compagno di classe, solo perchè le ha fatto cadere un astuccio o ritiene che voglia darle una spinta, manifesta tutto il disagio che i suoi genitori continuano a negare, giustificando questo come una obbligata reazione difensiva contro chissà quale attacco subito ed offrendo alla figlia il peggior rifugio giustificativo, anche se la puniscono perchè ha preso una nota per il comportamento tenuto, ove la punizione non serve assolutamente a nulla perchè i bambini soffrono le punizioni dalle quali non traggono un insegnamento ma solo un addestramento, al quale adeguano i racconti vittimizzanti che fanno ai genitori e che imparano purtroppo a fare anche a sè stessi.

E’ sostanzialmente un girotondo di un disagio che non si risolve con le telefonate agli altri genitori, con i messaggi “per far sapere” oppure cambiando istituti scolastici o territori per iniziare di nuovo lo stesso identico girotondo persistendo, invece, nell’identificare altrove la fonte del disagio.

Occorre avere il coraggio di porsi in discussione non per cercare delle colpe ma per individuare una soluzione che, se non risolta, porterà i figli in un percorso vittimizzante delle proprie difficoltà che imputeranno sempre a delle ragioni esterne da loro, altre e negli altri, da subire o a cui reagire oltremisura.

Genitori di questo tipo sono fondamentalmente delle brave persone dotate anche di qualità individuali interessanti ma prigionieri loro stessi di quella gabbia relazionale nella quale stanno confinando il futuro dei propri figli, i quali inviano i segnali del loro disagio tramite le esagerate reazioni ad un evento, le frequenti situazioni di malessere emotivo e relazionale e, talvolta, la manifestazione del disagio tramite una regressione che li rende “immaturi” agli occhi degli altri o apparentemente più piccoli della loro età cronologica.

Il vittimismo e la vittimizzazione sono una terribile gabbia che purtroppo consente a molti di catalizzare a sè le attenzioni di una ampia massa di altrettante persone protese al vittimismo, assumendo talvolta il ruolo del pastore di un branco di pecore, sempre però bisognose di un lupo che ringhia per giustificare le loro reazioni e quella vittimizzazione che impedisce, alla fin dei conti, di essere realmente felici e non solo far finta di esserlo.

Sara