DOTTORESSA MI AIUTI, NON RIESCO A SUPERARE LA SOFFERENZA DELLA ” NON VERITA’” SULLA MORTE DI MIO FRATELLO (O SORELLA)

L’elaborazione di un lutto è un processo naturale della vita con degli aspetti psicoemotivi importanti, tanto che possono condizionare l’elaborazione stessa vincolando ad una costante attesa di giustizia coloro i quali hanno perduto un familiare in modo improvviso e traumatico, come chi ha visto il fratello (o la sorella) ucciso in una strage, per un omicidio o vittima di un serial killer. Questo perchè non è mai stata raggiunta una verità tale da permettere, poi, di elaborare finalmente il lutto.
Situazioni purtroppo diffuse nel nostro Paese, nel quale le stragi non sono mancate e nemmeno gli omicidi singoli o seriali privi di una verità giudiziaria e con una verità storica vincolata alla sue tante e diverse ipotesi.
Chi ha perso un fratello ( o una sorella), ucciso per un omicidio o morto in una strage, reagisce quasi sempre con dei meccanismi difensivi tipici di fronte alla impossibilità di superarne la sofferenza, la quale incide nella sua vita ordinaria e familiare. Accetta qualunque causa e “lo mette da parte” ricordandolo durante gli anniversari senza però dimenticarlo mai, continuando la propria vita in ogni caso e chi, invece, identifica come scopo di vita la ricerca della verità contro tutti gli ostacoli che talune verità oppongono, dai depistaggi agli inquinamenti delle prove, ritrovandosi però di fronte al disagio di vivere pienamente la propria esistenza e talvolta anche alle difficoltà nella relazione con il coniuge e con la famiglia in generale.
Poi vi è il paradosso tutto italiano, in forza del quale ci sono persone prive di una loro realtà esistenziale che, solo grazie alla morte di un proprio caro, hanno avuto la possibilità di ottenere delle attenzioni personali e sociali; persone per le quali la ricerca della verità si trasforma in un protagonismo individuale da tutelare oltre la verità stessa da ricercare, ponendo così in secondo piano la morte contro il vantaggio del protagonismo indotto dal caso, anche andando a formulare ipotesi complottistiche o circondandosi dai tanti “tifosi” che seguono la cronaca giudiziaria come le partite di calcio.
La morte di un caro priva di verità è un trauma effrattivo a tutti gli effetti nella psicologia anche delle persone più evolute e strutturate. Sapere di non saper nulla sui motivi reali per i quali un fratello o una sorella sono morti, spesso tramite una fine terribile, sommato alle tante e disparate ipotesi che disegnano chi si è amato in un modo del tutto lontano dalla realtà, trasformandolo così in un oggetto di cronaca e non più quella persona che si continua ad amare oltre la sua morte e per tutto il resto della sua morte, dedicando molto impegno alla sensibilizzazione per la ricerca della verità e per la giustizia.
L’ascolto pedagogico aiuta ad estrarre le risorse necessarie per intraprendere l’elaborazione del lutto anche in assenza di una verità giudiziaria, evidenziando la differenza nel rapporto tra fratelli in vita, distrutto dalla morte, con la morte del fratello (o sorella) ucciso ed ora solo oggetto di un fascicolo giudiziario e “rubricato” come caso, riducendone già così l’esistenza in vita.
Confondere la verità della relazione affettiva tra fratelli con la verità della morte non ancora trovata, rischia di impedire la corretta elaborazione del lutto, vincolando i familiari superstiti alle nuove prove, alle nuove presunte verità, immaginando inconsciamente che con una verità certa ed accertata “si potrà dare vita alla morte del loro caro perduto”. Paradossalmente questo è vero nella sua proiezione psicoemotiva, perchè l’elaborazione del lutto si concretizza con l’identificazione reale del distacco, della morte, dando appunto vita alla morte stessa identificandola nella persona perduta accettandone la scomparsa fisica ed il dolore che può aver patito nel momento in cui è stato ucciso.
I pensieri che vive un familiare di una persona assassinata sono intrusivi e non solo razionali, hanno purtroppo il sapore della tortura quando impongono di immaginare le ultime parole del loro caro e la sofferenza che può aver patito.
Il senso di impotenza si somma alla rabbia della perdita, alla frustrazione da riuscire a tollerare contro le non verità o le troppe verità fino alla consapevolezza che solo lottando per la verità si dona vita al fratello o sorella perduto. Ecco le ragioni per cui sono numerosi i familiari delle vittime che si associano in dei comitati per sensibilizzare la giustizia oppure conducono delle battaglie vere e proprie contro il fango del depistaggio e degli inquinamenti.
Sono la moglie di un uomo che a vario titolo è vissuto all’interno di vicende giudiziarie del genere tra gli anni ’80 e ’90 e ben conosco il tessuno emotivo e psicologico che le caratterizza, ho conosciuto diverse persone protese alla ricerca della verità di un loro caro ucciso, come ho potuto confrontarmi con la qualità delle indagini quando mio marito ne è stato testimone o consulente.
Un mondo a parte, che rischia di strappare via anche la vita dei sopravvissuti.
La pedagogia è una risorsa utile ad estrarre le risorse utili per affrontare un percorso molto lungo, che inizia dalla presa di coscienza della morte di un fratello o di una sorella e non termina solo quando una sentenza proporrà una verità apparentemente certa.
Sara