DOTTORESSA MI AIUTI, DOPO IL TRAUMA CRANICO MIO FIGLIO E’ CAMBIATO E NON RIESCO PIU’ A GESTIRE LE SUE CRISI

Quando mia figlia Matilde era ricoverata al Gaslini di Genova a causa del trauma cranico che ha subito, ho potuto interagire con alcuni genitori di quei bambini vittime di traumi cranici gravi e, anche loro, diagnosticati con un danno assonale di entità diversa, potendo nel tempo mantenere dei contatti grazie ai quali confrontare le rispettive esperienze sia nella escursione del trauma che nella gestione delle complicanze in generale.
Rispondo perciò come pedagogista ma soprattutto come la madre di una bambina alla quale sono somministrati i tipici farmaci anticonvulsivi ed una profilassi di contenimento unita al periodico monitoraggio per comprendere se gli assoni danneggiati siano a rischio di un peggioramento o meno, con tutte le paure conseguenti di fronte al significato del danno assonale.
La donna che mi chiede aiuto ben conosce il peso di questa paura perchè il figlio patisce purtroppo una gravità elevata non tanto nelle funzioni fisicomotorie quanto nell’aspetto cognitivo comportamentale, con una ampia serie di manifestazioni di “violenza” che questa madre non riesce più a gestire.
Un trauma del genere coinvolge tutta la famiglia e non solo vittima e, ove non vi sono delle relazioni forti, le complicanze che si manifestano tendono a distruggere la famiglia stessa tra le separazioni dei genitori e la “tutela” dei fratelli contro, in questo caso, un ragazzino che nei momenti di crisi esprime improvvisamente una violenza fisica e verbale anche “pericolosa” per sè e per gli altri, la cui durata è breve ma ripetuta e sostanzialmente gli impedisce di condurre una vita ordinaria sia a scuola che a casa.
Gli assoni danneggiati, le fonti epilettogene, i potenti farmaci anticonvulsivi formano quel cocktail d’innesco degli episodi i quali, agli occhi degli altri, appaiono certamente “pericolosi” nel vedere all’improvviso un ragazzino dolce e gentile impegnato in qualche compito o gioco trasformarsi in una persona dagli “occhi cattivi” e incapace di misurare il peso della violenza che pone nei colpi che tira a tutto e tutti, madre compresa, per poi tornare “normale” come se nulla fosse mai accaduto.
Madre che, dopo le pacche sulle spalle ricevute a ridosso del trauma, ha iniziato a percepire le prime distanze da parte dei parenti e degli amici, quindi le prime lamentele per il “comportamento” del figlio, il suggerimento del sostegno a scuola “tanto ha la 104” fino al progressivo isolamento il quale ha ormai assunto un indice elevato e trova in me un confronto professionale nei limiti delle competenze della pedagogista.
Mi confronto così con la persona umana e non con la patologia del figlio, di cui ho la piena consapevolezza fortunatamente in misura ridotta ma, a dire il vero, insieme a mio marito abbiamo lavorato molto su Matilde sin da quando è stata fatta uscire dal coma, con quella diagnosi. Parlo di fortuna perchè la nostra formazione di educatori pedagogisti ci ha aiutato come genitori che hanno “fermato il mondo” per oltre tre anni proprio per porre Matilde e tutta la Famiglia nelle condizioni di gestire il trauma, per non esserne gestiti.
Questa donna è sola con un figlio adolescente con un fisico in evoluzione ma già simile a quello di un adulto, non è più un bambino di facile contenimento, certamente seguita dalle strutture sanitarie di prossimità e monitorata periodicamente dal Gaslini ma, ogni giorno, la solitudine si trasforma in isolamento anche emotivo e relazionale con il resto del mondo, con il rischio che alla fine si possa ritrovare come molte altre donne nelle stesse situazioni totalmente “preda” delle escursioni del trauma del figlio.
Non si può pretendere dai parenti e dagli amici una comprensione oltre la normale solidarietà morale, specialmente quando loro stessi sono stati vittime di una crisi o hanno assistito a quello che questa madre subisce tutti i giorni, oltre ai momenti in cui i farmaci anticonvulsivi non bastano e le crisi epilettiche fanno il loro corso, oppure sperare che a scuola o nei momenti di socializzazione i genitori degli altri bambini e ragazzi siano tutti con la mente aperta rispetto che timorosi di qualche eventuale crisi in danno dei loro figli, dalla spinta al cazzotto, dalle grida agli “occhi da serial killer”.
L’aspetto cognitivo comportamentale dopo un trauma cranico del genere è una variabile del danno assonale, aggravato dalle complicanze dei farmaci somministrati, si parla di spettro autistico o di più concrete patologie certificate come in questo caso, oppure si osserva un ampio specchio di potenziali aggravamenti che fanno realmente paura e, noi genitori di figli con un danno assonale nelle sue varie entità, ben sappiamo cosa significa lottare contro i tanti “se” ed i tanti “ma” nascenti dai momenti “catastrofici” formulati dalle ipotesi della paura.
Come pedagogista posso solo rispondere alla persona umana, rinforzando la donna e cercando di estrarre delle risorse idonee per affrontare le difficoltà, ma comprendo che necessita di una rete che non ha più e, al netto di qualche associazione, ciò di cui realmente ha bisogno se ne è andato perchè è sola a casa tutti i giorni con un figlio “preda dei suoi mostri”.
Come madre di una bambina i cui assoni sono essi stessi una quotidiana lotteria, le offro la consapevolezza di quel che ha provato fuori dalla rianimazione mentre i nostri figli erano in coma e di quel vive nelle sue emozioni di donna, di madre e di moglie di fatto abbandonata.
Eventi di questo tipo rinforzano la coppia o la distruggono, il resto poi, nelle complicanze del danno offre a tutti un ampio bacino di giustificazioni che nessuno biasima, oltre l’eventuale morale che a poco serve.
Vi sono dei mondi, nella sofferenza, che si alimentano con il quotidiano dolore provato da quei genitori la cui impotenza rinforza la frustrazione di sapere di non poter aiutare i figli e, non vi è peggior dolore, di sentirsi impotenti mentre i figli soffrono.
Sara