La pedagogia della sessualità e degli indirizzi di genere è una materia affascinante, grazie alla quale affrontare un tema ancora scottante nel nostro Paese come quello della omosessualità dei figli adolescenti.

Incontriamo dei genitori sereni ed aperti ed altri invece assolutamente vincolati ad una mentalità confusa tra la fede identificativa e l’incapacità di confrontarsi con una realtà difficile, come lo è il periodo della adolescenza dei propri figli.

Adolescenza che differentemente dal passato ha oggi una enorme possibilità di meglio esprimere e sperimentare tutte le curiosità sessuali, proprio perchè gli impulsi in tal senso caratterizzano l’adolescenza stessa e non è più possibile limitarli con quanto, noi, abbiamo subito tra ricatti morali, presunti angeli che osservavano anche i nostri bidet pronti a punirci e condanne sociali di ogni genere tra mortificanti pregiudizi e mentalità provinciali.

Oggi i ragazzi hanno un panorama sessuale e sessualizzante anche troppo confusivo, con degli stimoli mediati da una pornografia che con la sessualità non ha nulla in comune, contro un abbandono educativo verso quanto stanno affrontando tale da lasciarli di fatto soli nella scoperta delle proprie emozioni, sensazioni, piaceri e “indirizzi” sessuali prevalenti.

Oggi i ragazzi parlano tra loro senza più tirarsi addosso in modo mortificante i marchi identificativi del “frocio” e della “lesbica” perchè la classe ha forse saputo di qualche toccamento particolare al bagno tra amici ed amiche curiose, oppure per un certo tipo di abbigliamento o attitudine comportamentale che si trasforma in una icona dello sbeffeggio.

Ascoltare da parte mia dei genitori timorosi della omosessualità del figlio adolescente come una malattia che lo ha improvvisamente colpito, mi costringe a fare ricorso a tutta la capacità di tollerare sia l’ignoranza che l’incompetenza genitoriale così manifesta.

L’omosessualità in ogni sua espressione non è una patologia psichica ne una malattia sotto nessuna forma, ma una espressione della propria sessualità compatibile con le modalità sociali nel contesto culturale in cui la si vive, anche in modo esclusivo e come tale socialmente identificativo nella sua espressione iconografica e comportamentale di fronte, per esempio, al dover combattere la società stessa oppure “imporla” a dei genitori ciechi e bigotti.

Un ragazzo immerso nella sua adolescenza non merita di essere etichettato in alcun modo sulla base di qualche interesse o sperimentazione di tipo sessuale, anche se chiaramente indirizzata verso l’omosessualità, perchè è parte del percorso nella misura della scoperta di quel sè stessi anche sotto il profilo dei sensi e dei piaceri, i quali non hanno una origine prevalente e non dipendono per questo da un preconcetto oppure dalla fede.

Lo stesso adolescente vive in modo grave la paura della condanna genitoriale nel momento in cui coltiva una curiosità o scopre di sperimentarla in modo piacevole, senza sapere se sia o meno omosessuale, bisessuale, fluido o come le attuali mille diverse etichette indirizzano a riconoscersi in modo diverso dal classico eterosessuale.

Le cattive amicizie sono tali solo se vi è la presenza di quegli adulti che abusano dell’immaturità dei ragazzi e propongono sperimentazioni condizionanti oltre la giusta misura fra coetanei curiosi; non è un cattivo amico il compagno di classe del figlio apparentemente gay e, bene ricordarlo, l’omosessualità non è una malattia infettiva che si prende dal contatto. Il cattivo maestro ed il cattivo amico è l’adulto maturo che funge da “nave scuola” per quei ragazzi lasciati soli nella loro curiosità oltre i confini mentali dei genitori.

Ho cinque figli, tre femmine e due maschi, debbo per questo temere di avere tre future lesbiche e due futuri gay sin d’ora? Secondo la mentalità di quei genitori che considerano l’omosessualità una malattia o un contagio di prossimità? Perchè abbiamo degli assistiti omosessuali?

Iniziamo con il chiederci invece se un figlio adolescente, apparentemente omosessuale, sia un problema per sè stesso o per la reputazione dei suoi genitori prima di andare a cercare aiuto dai professionisti che, se tali, indirizzano questi genitori verso un loro preciso bisogno di aiuto e, non, il figlio gay o non gay che sia, o sarà.

Infatti l’omosessualità dei figli è più spesso un problema dei genitori, della loro mentalità basata sulla reputazione sociale e d’ambiente, della loro credulità, della loro chiusura totale verso un mondo emotivo del tutto uguale e compatibile con il proprio, del quale si possono apprezzare o meno talune manifestazioni iconiche ma non condannare l’omosessualità perchè la si considera “diversa” tout court.

Due uomini o due donne che si amano lo fanno esattamente come gli eterosessuali, con le stesse dinamiche emotive indipendentemente “dai meccanismi di accoppiamento” che tanto spaventano i ben-pensanti, specialmente quando gli omosessuali si azzardano a parlare di genitorialità.

Un ragazzo in piena adolescenza è bombardato notte e giorno da degli impulsi provenienti da mille diverse fonti, almeno che non sia stato costretto in dei paletti culturali precisi, il quale merita di essere ascoltato e accolto in ogni suo quesito proprio per non lasciarlo solo di fronte anche allo spettro di quelle risposte che potrebbero ferire i genitori.

L’omosessualità è una espressione latente in tutti noi, mediata in gran parte proprio dai paletti culturali e dal timore di scoprici ora attratti da una donna o da un uomo quando ci diciamo fermamente contro le lesbiche e contro i gay.

L’omosessualità spaventa e, per questo, la si combatte con i pregiudizi e con tutto quello che “di sporco” vogliamo estrarre dalle sue presunte manifestazioni ed espressioni relazionali.

Come donna, madre e professionista, indipendentemente dalla mia personale opinione, mi confronto sempre con la persona umana che ho di fronte e, non, con la sua sessualità negli indirizzi in cui la nostra società la impaletta.

Una persona umana, come lo siamo tutti noi, degna di confronto e di accoglienza, come dovremmo donarci sempre, senza filtri, altrimenti ci ereggiamo ad un presunto valore superiore e, come tale, giudicante la vita e le scelte altrui.

Un figlio adolescente omosessuale non è un malato, è una persona umana.

Sara