DOTTORESSA MI AIUTI, MIA FIGLIA FREQUENTA UN MUSULMANO E TEMO CHE VOGLIA CONVERTIRLA ALL’ISLAM

Anche il nostro Paese ha ormai raggiunto i numeri delle cosiddette seconde generazioni di immigrati molti dei quali nati in Italia ed italiani a tutti gli effetti ma non ancora con una cittadinanza effettivamente tale, alcuni anche privi delle conoscenze della lingua di origine ma invece padroni dei nostri dialetti tanto da riconoscerli come “stranieri” solo per i tratti somatici e non per un particolare accento.

Ragazzi e ragazze che, al netto degli integralismi, vivono con i nostri figli, frequentano le stesse scuole e praticano lo stesso sport con la differenza della religione la quale è prevalentemente islamica nei casi di coloro provenienti dal Maghreb in particolare.

Ragazzi e ragazze che interagiscono tra loro e per questo si consolidano delle amicizie ed anche quei rapporti affettivi che un tempo avremmo chiamato fidanzamenti, quando ancora dovevamo “findanzarci in casa” per avere il permesso di amoreggiare oppure per tutelare una qualche reputazione sociale messa a rischio dalla frequenza dei fidanzati meno ufficiali.

Oggi è facile osservare delle coppie formate da ragazze italiane e bianche con dei compagni africani e neri oppure maghrebini, come è altresì frequente la nascita delle nuove generazioni con i figli “misti” tra italiani e cinesi, africani, maghrebini, pakistani, indiani, giapponesi, esquimesi e perfino samoani, figli i quali rappresentano la bandiera dell’integrazione a tutti gli effetti e che nelle altre aree del mondo sono una normale conseguenza dell’evoluzione sociale. Infatti nel semplice descrivere la propria origine, parlando con uno statunitense per esempio, questi dirà di essere in parte inglese, in parte nativo americano, in parte tedesco, in parte nigeriano o russo, in parte scandinavo con dei riferimenti ad un trisnonno irlandese che ebbe una relazione clandestina con una cuoca calabrese e nacque così uno dei suoi avi ma è semplicemente un cittadino americano.

Da noi, invece, può capitare di ascoltare i timori di una madre in preda alla paura di aver scoperto che il fidanzato della figlia, Immacolata, cattolica, si chiama Rashad, musulmano, con tutto il carico dei pregiudizi o delle più giustificate riserve che una donna italiana di media cultura può manifestare.

Non è raro inoltre che proprio la religione islamica possa rappresentare una variabile ancora discriminante nei rapporti interpersonali tra i cattolici ed i musulmani, oppure che vi sia una sorta di tacito stimolo alla conversione da una parte o dall’altra nel momento in cui una coppia decide di sposarsi o di strutturare il loro rapporto nei dettami della fede.

Spiegare ad una italiana media che cosa sia una religione abramitica e che il Corano non è la bibbia dei terroristi islamici è talvolta difficile, come farle capire che la potenziale conversione della figlia non è un dovere ma una scelta anche se, a dirla tutta, è spesso una scelta obbligata per alcune ragazze timorose di perdere l’amore del compagno musulmano le quali si raccontano di essere pronte, per amore, anche a rinunciare alla propria fede.

Occorre perciò scindere le singole lacune e le fragilità emotive ed affettive rispetto alla concreta consapevolezza di una conversione verso una religione universale e monoteista come l’Islam, per la quale vi è il rifiuto che Allah possa somigliare ad una concezione antropomorfica per esempio.

La paure che nascono dall’ignoranza sono uno strumento pericoloso perchè si prestano sia alle manipolazioni del consenso che alla seduzione degli integralismi ma, certamente, non possiamo pretendere che vi sia una volonta individuale e sociale di confronto con l’Islam tale da investire molto tempo nello studio del Corano, quando in realtà è ormai minore anche il solo leggere il Vangelo, senza dimenticare l’importanza dell’articolo 19 della Costituzione ed il fatto che la Repubblica Italiana è libera dal controllo della Chiesa.

Inoltre vi è la problematica dei flussi migratori provenienti dal Maghreb verso il nostro Paese, caratterizzati dalla clandesitinità e da un importante inquinamento delinquenziale che nasce da un fenomeno diventato “strategico” e non più solo umano come quello della migrazione economica o dei richiedenti asilo, ove tutto questo crea la diffidenza individuale ed il pregiudizio sociale.

Mettiamoci quindi nei panni di una cinquantenne che ha dovuto rinunciare agli studi fermandosi alla terza media sostituita da un libretto di lavoro come apprendista che nel tempo le ha consentito di strutturare la propria famiglia con una consistenza economica serena insieme alla busta paga del marito, nella tipica tradizione di una casa con mutuo, delle ingerenze dei nonni, le rate delle macchine e dei motorini, gli interessi individuali tra palestre e vacanze e la crescita della figlia, Immacolata, frequentratice della parrocchia ma anche libera di andare a ballare ed uscire con le amiche; tutto questo all’interno di quegli schemi sociali e mentali riconosciuti e riconoscibili, una culla di sicurezza e di certezze quindi.

Donna che ora è di fronte alla prossima totale autonomia di una figlia non appena superato l’esame di maturità, la quale invece di andare all’università ha deciso di frequentare una comunità islamica con l’obiettivo di convertirisi e di sposare il fidanzato musulmano, sul cui conto i genitori non sanno nulla o ne hanno sempre negato l’esistenza considerandolo una esperienza della figlia, augurandosi che si potesse concludere velocemente.

Donna alla quale crolla il mondo addosso sotto il peso della paura e che trova nelle sue reti sociali ed amicali solo il rinnovo dei timori di cui è preda, oppure incontra nella parrocchia di riferimento un neutro confronto che invita a stimolare la figlia alla preghiera ed al ritorno alla Chiesa.

E’ difficile perciò offrire un confronto pedagogico alla persona umana degno di tale valore, perchè si rischia di invadere la sfera personale delle scelte autonome e della costruzione di un futuro da parte di una ragazza, diverso da quello sperato dai suoi genitori.

Non è solo un “problema” della madre nei suoi eventuali limiti, perchè il timore che la propria figlia possa ritrovarsi “nelle mani di un arabo” interpretato come uno dei tanti spacciatori ormai presenti nelle nostre città, è diffuso anche in chi ha una laurea o una mentalità meno confinata proprio a causa della clandestinità e dalle varie politiche che ne amministrano i flussi.

Merita rispetto chi dice di aver paura a causa di una enorme presenza di musulmani nel nostro Paese, convinto che tra cento anni vi saranno solo moschee, come merita rispetto il musulmano impedito dall’integrarsi perchè è costretto a pregare nei garage improvvisati o in quelle aree geografiche italiane più tolleranti se, non, partecipando alla costruzione di quartieri e sacche sociali targate con la nazionalità di provenienza.

Le emozioni non hanno un bollo tondo di riferimento ne un passaporto in mano, non possono essere condizionate da una preventiva opera di indottrinamento genitoriale, come purtroppo avviene sia tra i cattolici che tra i musulmani, oppure essere controllate dalla politica o da una religione prevalente ma inevitabilmente questo avviene e influenza la società e le persone.

Non possiamo imporre ai nostri figli dei requisiti per le loro emozioni, non si ama per concorso infatti, soprattutto in un periodo evolutivo come quello adolescenziale fatto di scoperte e di sperimentazioni le quali non meritano l’inquinamento dei timori genitoriali quanto una più equilibrata educazione al confronto con le emozioni stesse.

Sono madre di cinque figli, dei quali tre sono femmine e per quanto sia una donna matura e con la mente aperta, mi chiedo io stessa se sarò pronta ad accettare che una di loro mi porti a casa un fidanzato musulmano che la voglia convertire prima di sposarla, magari incontrato in un ambiente diverso da quello scolastico e quindi del tutto sconosciuto. Oggi mi dico aperta e serena ma, in realtà, sono numerose le variabili per le quali sarò invece pronta ad attivare mio marito in tutela di una delle nostre figlie contro una conversione “obbligata” o viziata da un presunto forte sentimento.

Non mi resta perciò che educare come faccio tutti i miei figli alla libertà delle emozioni ed alle emozioni della libertà, a pensare con la propria testa, ad acquisire ogni opportunità di cultura per saper conoscere e riconoscere il valore del percorso della loro vita, anche nella misura di una evoluzione adolescenziale immatura ma non per questo priva di maturità.

Sono cattolica ma ho letto anche il Corano perchè mio marito ha frequentato i paesi del Maghreb e del Medio Oriente quando imparava l’arabo ed egli stesso lo ha studiato, perchè abbiamo dei conoscenti musulmani con i quali desidero confrontarmi senza ignorare la loro fede e senza imporre la mia, inoltre i nostri rispettivi figli giocano insieme e studiano nelle stesse scuole senza da parte nostra una selezione tra le amicizie in base alla nazionalità, al colore, alla religione o alla provenienza.

Sono fermamente convinta che educare i figli alla serena accoglienza del “diverso” li renda meno vulnerabili agli integralismi ed alle manipolazioni dei consensi, anche permettendo loro di sapere cosa non accettare nel “diverso” per delle variabili diverse dal solo essere diversi.

Sostanzialmente accolgo la paura di questa madre senza la possibilità di offrirle un confronto utile affinchè la superi se non fatto di buon senso e di sani consigli, ma sono cosciente che questi timori nascono in un terreno antico e rinfrescato dall’ignoranza sulla quale investono tutti gli integralismi religiosi e politici.

Non è solo una questione di Islam o di Chiesa Cristiana nelle loro concezioni di Dio oppure nella identificazione delle rispettive dottrine educative in cui le persone trovano ispirazione e conforto, si tratta anche e molto di cultura sociale e relazionale tra persone diverse esposte purtroppo agli stimoli di quella arroganza dell’ignoranza che sviluppa gli integralismi in ogni loro desiderio di indivduare un “diverso” come elemento di divisione.

La storia ci insegna purtroppo che, la pedagogia, poco può fare di fronte agli enormi danni dei conflitti, nati dalle contrapposte religioni.

Sara