Quando molti anni or sono ho iniziato a collaborare con mio marito nel settore della pedagogia forense, avevo già osservato gran parte del suo lavoro e ne temevo quei momenti nei quali Fabio doveva interagire come educatore dei minori vittime della pedofilia al fine di preservarne i ricordi di abuso per poi estrarne ogni potenziale elemento probatorio nel corso delle indagini e dei processi, perchè li ho sempre ritenuti dei momenti terribili, limitandomi in gran parte a studiare gli atti ed organizzare le attività per le consulenze extraperitali erogate alle famiglie delle vittime ed ai loro avvocati.
Ho avuto modo in alcune occasioni di avere di fronte ai miei occhi presso gli studi legali o nei tribunali i bambini vittime ed anche gli adulti autori degli abusi che hanno patito, i pedofili, i quali avevano tutto meno il disegno del mostro che generalmente tendiamo a proiettare loro per configurare l’immagine di questi predatori di bambini, perchè tali sono, dei predatori.
Come fare quindi per proteggere i nostri figli da una minaccia tanto presente quanto diffusa in ogni categoria sociale e professionale, perchè i pedofili sono ovunque e non hanno una loro particolare caratteristica identificativa, diversamente dalle varie “dottrine pedofiliche” alle quali alcuni di loro fanno riferimento all’interno della cultura della pedofilia organizzata più riconoscibile, su cui scriverò ancora.
Come e cosa fare per impedire ad un adulto abusante, seduttivo, dissimulante e sostanzialmente “invisibile” di rappresentare un rischio anche per i propri figli?
Non ci sono delle regole standard e, al netto del buon senso, occorre avere il coraggio di approcciarsi a questo tema, quello della pedofilia, con una ottica diversa dal pregiudizio o dalle sommarie considerazioni per comprenderne le dinamiche in base al tessuto sociale e culturale del territorio di riferimento e le tecniche predatorie adottate per raggiungere le prede della pedofilia, che sono i bambini pre-puberi e, non, gli adolescenti.
Occorre inoltre differenziare gli agiti del classico abusante estemporaneo, non necessariamente pedofilo nel suo più ampio significato ma quasi sempre un soggetto con delle policomplicanze psicosociali, rispetto a chi, invece, vive la pedofilia come “stile di vita” identificativo quindi, oltre a quello che ritiene essere un presunto diritto di amare i bambini, il quale è un tema di discussione su larga scala tra chi difende questo “diritto” e chi considera l’amore per i bambini sotto il profilo fisico e sessuale un reato, come tale è, fortunatamente così contemplato nel nostro ordinamento giudiziario.
Un adulto non ha mai in nessun caso il “diritto” oppure la libertà di relazionarsi con un bambino tramite dei comportamenti seduttivi, fisici e sessuali sotto nessuna forma, motivo o espressione e per alcun tipo di “cultura” o culto voglia rappresentare.
Un adulto che seduce, tocca intimamente o abusa fisicamente un minore commette, sempre, un reato.
Reato, quello della pedofilia, difficile da dimostrare con degli elementi probatori certi ed accertati nel corso del dibattimento processuale in tribunale, luogo ove si forma la prova, perchè in assenza di una penetrazione fisica riscontrata da degli accertamenti medici, l’unica fonte di prova rimane il minore vittima con i suoi ricordi di abuso, ed ecco l’importanza di tutelarli contro ogni potenziale inquinamento grazie ai consulenti psicologi, pedagogisti ed educatori tra quelli peritali ed extra-peritali.
Un bambino o una bambina vittime della pedofilia rappresentano dei soggetti processuali quasi unici, perchè sono allo stesso tempo l’oggetto del reato, il soggetto che ha patito il reato, l’unico testimone del reato subito e, per età cronologica, non hanno i giusti requisiti per essere “immediatamente creduti” dovendo perciò affrontare una lunga serie di percorsi peritali fino al terzo grado di giudizio, laddove l’autore del reato sia stato identificato e, questo, non sempre accade.
Bambini che insieme al trauma dell’abuso vivono una effrazione psicoemotiva importante e destabilizzante a tal punto che non sanno manifestare la loro sofferenza, non immediatamente, non apertamente ed in modo subito comprensibile da parte dei genitori, dei parenti o dei terzi di riferimento e, questo, rende ancora più difficile l’emersione degli indicatori di abuso specifici ed aspecifici utili per poi strutturare una azione penale.
L’immagine del disegno in copertina, tratto dai nostri archivi professionali, ben spiega come i bambini esternano le loro memorie di abuso, di quel “trauma in prestito” imposto con un atto feroce da parte di un adulto predatore, un pedofilo, spesso presente nel circuito intra-familiare o nei cerchi amicali della famiglia stessa ma anche proveniente da luoghi ed ambienti lontani dal tessuto sociale e relazionale della vittima.
Le vittime hanno però la necessità inconscia di “buttar fuori” il marcio che hanno patito e lo fanno con gli strumenti dell’infanzia, con il gioco o con il non giocare più, con il parlare tanto o con il non parlare più, con il disegno raffigurante delle forme sessualizzate, con dei comportamenti criptici che nascondono un disagio specifico camuffato con altri disagi tipici dell’evoluzione o di un contesto familiare critico, confondendone i segnali. Ma accade spesso che le vittime della pedofilia siano comunque capaci di trasmettere il loro dolore ed è compito di noi professionisti saperlo raccogliere con cura e sensibilizzare la collettività alla tutela dei minori in generale, come faccio anche con questi scritti.
Purtroppo occorre dire che la percentuale di abusi intra-familiari è elevata a causa di quelle policomplicanze sociali alle quali ho accennato, pur in assenza di una identificazione qualificativa dell’abusante come pedofilo “puro”. Tutelare i minori contro questa forma di abuso significa proteggerli da un disagio diffuso nel quale anche l’abuso sessuale ne rappresenta un indice e, questo, richiede molto più impegno rispetto al solo concentrarsi sulle misure di protezione contro la pedofilia.
L’abusante estemporaneo, sia esso il padre, il patrigno, il nuovo compagno della madre, lo zio, il fidanzato di qualche sorella maggiore, il vicino di casa o altra persona nel circuito familiare, agisce le sue condotte in modo tale da essere quasi sempre preso proprio per le sue caratteristiche personali; lascia traccia e la sua “tutela” si basa sulla sola minaccia diretta o indiretta verso la vittima, la quale ha certamente un peso nella psiche del minore abusato, già effratta dall’abuso stesso.
Il cosiddetto “pedofilo puro” cioè colui che agisce una dottrina di scuola pedofilica e predatoria specifica, è capace di non lasciare tracce, di non dover agire nella vittima alcuna forma minatoria perchè la seduce con degli approcci cooptativi, la coltiva, la cresce in qualche modo e generalmente “il giocattolo si rompe” quando accade qualcosa di inaspettato, di non preventivato. Vi sono dottrine pedofiliche in tal senso che coltivano la vittima con dei “falsi bersagli” studiati per deviare le analisi dei loro meccanismi difensivi e camuffare gli indicatori di abuso che i professionisti analizzano.
Fanno parte di quelle vere e proprie tecniche predatorie poste in essere dai pedofili che fanno riferimento ad una loro dottrina pedofilica, i quali agiscono singolarmente o in modo organizzato in danno di bambini prepuberi ed hanno lo scopo prevalentemente mirato a coltivare la vittima per gestirne il processo di cambiamento da minore abusato in un futuro adulto abusante, quello che nelle nostre consulenze nei tribunali abbiamo descritto come “l’orto degli orchi”.
Colgo l’occasione per sottolineare un concetto spesso mal interpretato dalla opinione pubblica, quello che vede gli adulti abusanti essere stati abusati nel corso della loro infanzia e adolescenza, ma non è sempre così. La percentuale di adulti abusanti è pari in ogni categoria sociale e professionale indipendentemente dal loro vissuto infantile, salvo quei bambini predati da una cultura pedofilica che mira a coltivarne il cambiamento.
Altrimenti dovremmo credere che un bambino abusato oggi sia infettato da un germe pedofilico che esploderà un domani; dinamica che avviene solo in una percentuale di casi.
Questo tipo di pedofili sono i più diffusi e pericolosi perchè sanno come e cosa fare per raggiungere le loro prede sfruttando le debolezze delle famiglie, le lacune genitoriali e le varie vulnerabilità sociali, anche assumendo un ruolo dissimulatorio delle loro intenzioni e paradossalmente calamitante le prede stesse per la funzione svolta, dal prete al maestro, dal medico al magistrato, dall’istruttore sportivo al rappresentante qualche culto mistico di interesse dei genitori con dei gruppi di preghiera e organizzazioni simili.
Dobbiamo diffidare di tutto e di tutti perciò?
No, basta stare attenti e concentrarsi sugli strumenti che la famiglia può adottare e mettere in pratica rispetto che andare a cercare i segnali di rischio negli altri, ove non evidenti.
Debbo dire che la immaturità genitoriale è purtroppo diffusa, come lo sono le debolezze emotive e relazionali di molti genitori separati pronti ad “allargare” la famiglia senza filtro ed in tempi brevi, imponendo così una terza persona nelle emozioni dei figli, anche con il rischio di ritrovarsi un predatore in casa.
La tutela dei propri figli contro la predazione della pedofilia inizia infatti con l’adozione di quelle misure di prevenzione che rappresentano una variabile importante per impedire ad un adulto abusante di scegliere i nostri figli come prede, a volte basta un semplice e deciso “NO!” detto da un bambino per annullare completamente il tentativo predatorio, mentre in molti casi occorre educare i piccoli non a diffidare ma a riconoscere i confini dell’affidamento e della fiducia verso le persone diverse da mamma e da papà, genitori che sovente delegano la cura dei propri figli in conto terzi.
La migliore tutela dei minori consiste quindi nelle competenze genitoriali, nell’impegno che essere dei genitori richiede, nel significato delle responsabilità del genitore e nel rispetto delle esclusive esigenze evolutive dei propri figli, primarie rispetto ai “bisogni” di mamma e di papà, senza per questo annullarsi come adulti e come coppia ma integrare le rispettive attitudini e necessità all’insieme familiare, un insieme composto appunto dalle singole autonomie che lo compongono, tra gli adulti capaci di agire ed i bambini che invece necessitano della guida educativa dei genitori.
Come ho detto, ogni lacuna relazionale in famiglia e nel rapporto con i figli rappresenta un perno nel quale incunearsi da parte dei predatori pedofili, specialmente quelli seduttivi che sanno accattivarsi i bisogni dei bambini trascurati.
La pedofilia, gli adulti abusanti, i predatori non hanno delle proprie specifiche risorse se non nella debolezza altrui, ora familiare ora sociale, tale da permettergli di agire e di porre in essere quelle condotte che, per le loro vittime, non terminano una volta concluso l’atto abusante.
Un minore così violato riceve infatti un trauma a lungo termine che si adatta alla sua crescita, alle sue caratterisitche psicoemotive, al suo contesto relazionale in famiglia e fuori la famiglia la cui elaborazione richiede l’intervento dei professionisti e, non, qualche rituale mistico bensì la piena consapevolezza del tema trattato anche da parte dei tecnici, perchè la pedofilia rappresenta un vero e proprio campo minato.
Su questo argomento scriverò ancora ed in modo progressivamente utile per offrire un confronto ai genitori interessati a proteggere i loro figli da un fenomeno, quello della pedofilia, su cui è importante far luce per combatterlo, senza temerne le ombre.
Sara