I bambini in generale e nei loro primi tre anni di vita in particolare, hanno bisogno di regole e, non, di doveri.

Allo stesso modo i genitori hanno nella gestione delle regole quasi il dovere di riuscire sempre a gestirle, timorosi di perdere il “significato educativo” che le regole dovrebbero rappresentare nella loro giusta misura, altrimenti vi è il rischio di ritrovarsi nella ansiogena trappola della misura giusta da individuare, confondendosi appunto tra le regole ed i doveri.

Personalmente non sono una amante delle regole tout court, perchè noto che molto spesso alcuni genitori cercano nelle regole dei bambini la compensazione delle loro lacune o dei loro momenti di conflitto, motivo per cui qualsiasi forma di presunta regressione nei figli si trasforma in una variabile di crisi nella coppia, miscelando un disagio con l’altro.

I doveri sono inoltre una espressione di quella cultura adulto-centrica ancora troppo presente nelle mentalità di tanti genitori, anche giovani.

Uno dei principali problemi che i genitori incontrano è quello della “invasione di campo” dei figli nel proprio lettone, sia perchè i bambini sono stati abituati a dormire in mezzo a papà e mamma ed hanno difficoltà a riuscire a staccarsi verso una loro autonoma stanzetta, che per i motivi per i quali i figli già capaci di dormire da soli si “impongono” invece di nuovo tra le braccia dei genitori, non sempre in grado di tollerarne i pianti e le forme regressive come il farsi la pipì addosso per esempio, innescando le mille paure che tutto questo “possa creare dei danni” nella evoluzione dei figli in base alla scuola di pensiero psicologica e pedagogica di riferimento, oppure al giro di carte della fattucchiera come accade qualche volta in talune realtà sociali, per sentirsi dire che la causa è il fatto che il marito ariete è conflittuale con la moglie acquario ed il figlio capricorno è duro come le pigne verdi ma, battute a parte, è importante capire come agire con intelligenza e buon senso, per la serenità di tutti, cartomanti comprese.

Come madre di cinque figli, l’ultimo di nove mesi, ho affrontato in dodici anni e affronto ancora gli stessi problemi degli altri genitori ed il fatto di essere una pedagogista mi offre il supporto tecnico che debbo però saper concretizzare altrimenti è inutile aver studiato tanto, mi dico, specialmente quando non riesco a contenere un problema o a risolverlo nei tempi sperati.

Partiamo dal presupposto che le note regole, ovvero quelle del così fan tutti, non servono assolutamente a nulla perchè ogni coppia ed ogni bambino sono un mondo a parte con le proprie dinamiche ed i propri meccanismi relazionali anche vincolati all’attualità degli eventi, restando così un nucleo non compatibile con gli altri proprio per le numerosissime variabili individuali e familiari che caratterizzano quella famiglia, quella coppia, quel genitore e quei figli.

La scelta è perciò quella di adeguarsi a delle regole universali buone per compensare e prevenire ogni eventuale disagio nei bambini, con il rischio di “addestrarli” ai doveri e non di educarli, oppure porsi in discussione come coppia genitoriale e comprendere se il comportamento dei figli non nasca in realtà da una situazione nella quale i bambini sono immersi e, non, scaturita dalle loro esclusive esigenze di pargoli in costante evoluzione.

Il consiglio principale che mi dono e che offro quando abbiamo di fronte un muro spesso come quello dell’incessante pianto dei figli, della loro invasione di campo, del senso di impotenza che ci assale per non riuscire a risolvere il problema, dell’innesco del conflitto con il partner tra le varie colpe da attribuirsi uno con l’altro fino alle ingerenze terze come le nonne, le amiche e le tate io so tutto che non mancano mai, è quello di mettersi davanti ad uno specchio e riconoscersi come la madre ed il padre di quel bambino o bambina “in crisi”.

Il proprio viso, anche segnato dallo stress o dal poco sonno e la propria immagine sono il miglior confronto da arricchire eventualmente con il supporto della pedagogista, in questo caso leggendo quel che scrivo.

Riconoscersi, in prima persona, è perciò il passo fondamentale verso la soluzione dell’eventuale problema, ricordando che quello che può apparire banale per alcuni può invece rappresentare un serio disagio per altri, ecco perchè è del tutto inutile porsi a confronto in modo dozzinale o fare la classifica al ribasso tra i disagi dei bambini.

Valutiamo ora quanto l’ansia di uno dei genitori o di entrambi possa incidere nella gestione delle regole e dei doveri, oppure se proprio questi sono loro stessi fonte di ansia o la camera di compensazione del timore che i figli siano preda di qualche disagio, anche per il solo desiderio di tornare nel lettone insieme a papà e mamma, oppure non siano capaci di staccarsi da loro.

Eventi del tutto fisiologici ai quali dare il giusto peso per non strumentalizzarli sotto nessun aspetto, soprattutto nei momenti di crisi relazionale della coppia anche con toni concitati, perchè amarsi significa talvolta discutere ed i figli crescono lo stesso se, tutto questo, rimane nei confini umani del buon senso e delle ridotte misure che trovano poi pace nel sentimento reciproco e nel desiderio di essere felici come soggetti individuali e come coppia, altrimenti il figlio che chiede di dormire nel lettone, è l’ultimo dei problemi.

Specifico anche che un bambino piccolo coinvolto nei gridati litigi dei genitori potrà in alcuni momenti chiedere di dormire con loro, anche a distanza di giorni dalla litigata, senza che questo alimenti il senso di colpa dei genitori ma considerandolo “il prezzo da pagare” evitando di trasformarlo in una “estorsione” a lungo termine.

Ai genitori che si riconoscono come soggetti ansiosi, tema su cui scriverò ancora, suggerisco di riflettere su quanto “proiettano” nei comportamenti dei figli invece fonte del proprio disagio, cioè l’ansia stessa.

Quando poi si trovano di fronte al reale ed effettivo apparente malessere dei figlio o della figlia perchè si impone nel lettone, manifesta delle forme regressive, piange senza motivo etc etc li invito a domandarsi se stanno osservando i fatti nella misura dei bambini oppure con gli occhi del genitore adulto, ansioso e certamente a disagio di fronte al problema anche per il solo non riuscire a dormire sapendo di doversi alzare presto per andare a lavoro, con la paura di qualche incidente causato dallo scarso riposo per esempio (ansia=pensiero catastrofico).

Le misure sono ben diverse, quelle dei bambini e quelle degli adulti, come diversi sono gli stimoli reattivi manifestati nell’immediato e, proprio questi ultimi, fanno la differenza tra un problema risolto ed uno invece solo tollerato, compensato o diventato motivo di ulteriori ansie.

Genitori timorosi anche di non saper misurare la risposta immediata da dare al figlio che chiede solo la loro vicinanza, temendo che una negazione possa “traumatizzarlo” oppure se il consentirgli tutto possa “viziarlo”, unito ad un’ampia serie di se e di ma che rappresentano gran parte del sonno perso, tra il giusto tono da adottare privo di rimprovero fino alle scelte diverse tra un genitore che chiede solo di dormire (anche con il pargolo sopra) e l’altro che lo incolpa della scarsa collaborazione, fino al risolvere tutto con un “è così punto e basta” dettato dalla esasperazione che non giova a nessuno.

Un bambino piccolo ha dei tempi di elaborazione delle esperienze tutti suoi, ivi comprese quelle esperienze imposte dai genitori talvolta con toni sbagliati e con le terribili dita puntante, fino al diventare la spugna del conflitto di coppia o della se-dicente inadeguatezza genitoriale di chi necessita sempre di un assenso a causa dell’ansia o della sua insicurezza.

Ecco l’importanza dello specchio nel quale riconoscersi come persona umana, madre, padre, genitore di quel bambino che chiede di stare e restare con loro, fatto che lo rappresenta come infante ma che, agli occhi degli adulti, potrebbe innescare chissà quali problemi futuri tra senso abbandonico o scarsa autonomia e mille altre psico et pedagogiche dottrine.

Ogni famiglia ha i suoi tempi e le sue proprie risorse e non dei requisiti, perchè non si diventa genitori per concorso, per trovare il momento giusto da cui partire per “staccare” i figli o, più semplicemente, assistere al loro autonomo distacco senza farsi mille problemi nel frattempo.

Lo si vuol staccare dal letto per le giuste esigenze del figlio o della figlia, o per le necessità dei genitori di una loro maggiore autonomia di coppia e per il bisogno del riposo? Potremmo iniziare a chiederci prima di usare “il rispetto dei tempi del sonno dei bambini” come dottrina scudante ogni maggiore richiesta dell’impegno genitoriale.

Perchè essere genitori significa essere pronti a dei momenti di scarso sonno, essere dotati di una pazienza maggiore, essere capaci di rinunciare alla passione nei momenti di desiderio e, soprattutto, in grado di comprendere i figli senza imporre loro delle regole e dei doveri utili ai soli genitori, tanto i bambini si adattano e, ove non lo fanno, i genitori stessi vanno in crisi.

Un bambino che piange e dalla sua stanza torna nel lettone di mamma e papà non ha un problema ne un disagio particolare, ma esprime solo il desiderio di vicinanza e di “coccole”, questo anche se dal punto di vista dei genitori si ha la consapevolezza che il bambino è amato, curato, protetto, coccolato e con tutte le giuste attenzioni per cui i genitori stessi considerano “troppo” questa ulteriore “pretesa” da trattare come una sorta di futuro problema se avallata o negata nel modo sbagliato.

In buona sostanza i bambini sanno quando è il momento di staccarsi se vivono e convivono in un clima di prevalente amore e serenità, veicolato da un corretto linguaggio comunicativo ed emotivo, per cui basta solo capire il momento giusto senza imporlo o adeguarlo ai figli credendo che si adattino.

I genitori, meno ansia possibile, osservano i tempi dei loro figli, non li impongono; allo stesso modo i bambini sentono i propri bisogni come naturale espressione dell’infanzia e della relazione figlio-madre figlio-padre, senza la spinta ansiogenza dell’abbandono o del timore del distacco e, quando questo accade per mille diverse variabili, è opportuno per i genitori saper compensare il momento di regressione o di difficoltà con piccoli sacrifici che descrivo di seguito.

Si accetta di far tornare nel lettone il figlio, rinforzandolo per il tempo necessario per ri-accompagnarlo “a casa sua” inteso come il suo lettino.

Si trasloca nella stanza del figli per il momento utile ad accompagnarne il sonno, addormentarlo insieme anche lasciando una luce di compagnia accesa.

Valutare la priorità tra i bisogni dei bambini e la routine familiare tra gli impegni eventualmente procastinabili e quelli invece inderogabili.

Considerare inoltre che una coppia può innescare dei momenti di crisi proprio dopo la nascita dei figli, ove questo non significa la fine del sentimento o la riduzione del desiderio di stare insieme bensì rientra in quelle fasi di assestamento che ogni famiglia affronta in tempi brevi, medi o più lunghi.

Concludo dicendo che noi professionisti possiamo rappresentare un valido confronto per superare un problema e per migliorare la espressione delle proprie competenze genitoriali, ma solo se vi è da parte dei genitori il desiderio di mettersi di fronte alla propria immagine, di fronte a quello specchio nel quale riconoscersi in ogni aspetto della vita, senza raccontarsela troppo.

Sara