
Nel nostro Paese sono molti gli anziani che “si guardano le scarpe”, privi di interessi oltre la rincorsa dei loro ricordi o la fuga dalle loro sofferenze, resi incapaci di vivere la loro età perchè non compatibile con le esigenze di una società troppo veloce e sempre più moderna, la quale li spinge ai margini verso ciò che si crede essere utile per loro come i circolini o le case di riposo, ove anche i nipoti sono troppo protesi a rimarcare che sono “vecchi” perchè analfabeti di una tecnologia difficile da imparare.
Anziani cresciuti in una epoca di mortificazione educativa basata proprio sulla mortificazione intesa come spinta verso l’annullamento dello emozioni “deboli”, protesi alla sudditanza o al vittimismo ma anche alla resistenza ed alla ricostruzione, coloro i quali ci permettono oggi di essere un popolo libero da quanto invece ha oppresso la loro infanzia, la loro adolescenza e la loro gioventù, specialmente per chi ha vissuto il periodo bellico.
Pensandoci bene, viviamo però in una epoca nella quale vi sono in realtà gli “anziani”, cioè coloro nati dopo la guerra e, poi, vi sono i “vecchi” nati prima o durante la guerra.
E’ difficile inoltre per molti attuali adulti superare i conflitti evolutivi e generazionali avuti con i propri genitori, come è ostativa la cocciutaggine di quei nonni fin troppo ingerenti convinti che la loro ignoranza sia la risorsa migliore per i nipoti, raggiungendo così il solo risultato della strumentale collaborazione o del quieto vivere in famiglia.
Gli anziani italiani non hanno in realtà mai imparato ad invecchiare, a comprendere la loro stessa evoluzione come un importante percorso per sè stessi e per gli altri, oltre gli hobby da coltivare una volta in pensione. Quando sono invece delle importanti risorse non solo oggettuali ma soprattutto emotive e relazionali per i bambini ed i ragazzi per esempio.
L’importanza degli anziani rappresenta infatti una ricchezza sulla quale siamo seduti passivamente, privi di quella reale coscienza di quanto possa rappresentare in termini pedagogici verso un confronto con le nuove generazioni invece inquinato da delle dinamiche relazionali prive di spessore e, purtroppo, anche ricche dell’arroganza della gioventù parte della baldanza tipica degli adolescenti ora protesi verso un rapporto più materiale con il mondo che li circonda.
Ricordo un progetto sociale di mio marito degli anni novanta tramite il quale metteva insieme gli anziani con i ragazzi delle medie, con dei risultati importanti perchè non caratterizzati solo dalla “storia” vissuta dai “vecchi” ma dal riconoscimento delle emozioni senza età, delle singole competenze reciprocamente evidenziate tali da unire le differenti età cronologiche in un interesse comune che li metteva insieme, li univa nel trasmettere e nell’apprendere il saper fare.
Oggi, diversamente dalle generazioni passate, incontriamo degli anziani e non più solo dei vecchi, quei nonni ancora “giovani” alcuni dei quali provenienti dalle esperienze giovanili e rivoluzionarie degli anni del cambiamento culturale, con i quali i nipoti incontrano un modo di pensare certamente diverso da quello che io stessa o il mio buon marito abbiamo avuto con i nostri nonni, nati nel 1900 per esempio e reduci della prima guerra mondiale.
Oggi incontriamo degli anziani che tali non sono sia nello spirito che nelle esperienze, i quali si trovano in alcuni casi costretti a raggiungere dei paesi stranieri ove vivere la propria vecchiaia senza rinunciare alla “gioventù” per non restare vincolati ai bisogni dei propri figli che gli delegano la cura e la gestione dei nipoti, tanto da essere impegnati tutti i giorni in trasporti tra scuola e sport, pranzi merende e cene a tempo pieno oltre ai fine settimana.
Oggi gli anziani sono delle risorse inespresse o rese solo di interesse per una società troppo vincolata al benessere materiale, mentre i “vecchi” sembrano essere dimenticati nella loro sopravvivenza in attesa della morte, tra case di riposo apatiche o badanti-custodi di quelle patologie tipiche dell’età.
I vecchi sono gli ottuagenari ed oltre che vivono gli ostacoli di una società autarchica nella relazione con dei nipoti autoreferenziali, quasi rassegnati ai doveri imposti per non perdere le opportunità di “restare vivi” per i figli e per i nipoti, anche sotto forma di firme di avallo o di rospi da ingoiare.
Assisitiamo ad una sempre più insorgente trascuratezza di quei vecchi abbandonati a loro stessi da parte di figli che non hanno saputo elaborare i loro conflitti evolutivi, oppure condizionati da coniugi o nuovi partner per i quali la suocera o il suocero vecchio rappresentano un ostacolo in ogni caso, da delegare appunto alle case di riposo, alle badanti, o a qualche ritrovo di “vecchi” tra circolini e cantieri da osservare.
I nostri anziani, i nostri “vecchi” sono invece una importante opera della vita da ereggere a monumento dell’esistenza, anche quando sono effettivamente ingerenti, giudicanti o prigionieri della loro ignoranza ma, in tutti casi, dobbiamo loro il dovere di relazione per il solo averci messo al mondo, buoni o cattivi genitori che siano stati, ricordandoci che un cattivo genitore potrà sempre essere un ottimo nonno se solo siamo reciprocamente ancora capaci di elaborare i conflitti.
Viva gli anziani quindi, viva soprattutto i vecchi, concentriamoci su di loro senza quella ipocrita presunta consapevolezza che “sono stati” perchè in realtà “sono” ancora e se gli diamo spazio nel loro essere, sono profondamente convinta che sapranno donarci ancora molto.
Sara