Ogni famiglia ha le sue dinamiche ed il suo proprio linguaggio comunicativo, espressione sia della qualità delle emozioni che della cultura generale vigente all’interno del nucleo nel quale i bambini crescono e, inevitabilmente, ne assumono le caratteristiche relazionali e comportamentali.

Osservo nei bambini in età scolare un assorbimento di termini e gesti più compatibili con quelli degli adulti che con l’infanzia, evidenza di una sempre maggiore incapacità da parte dei genitori di tollerare le frustazioni agendo le conseguenti reazioni verbali e fisiche rivolte tra loro ed anche in danno dei figli.

I bambini più piccoli ed i pre-adolescenti che si ritrovano ad essere i testimoni passivi delle periodiche liti tra i genitori conviventi o separati che siano, ascoltandone le parole dette con i toni tipici della rivalsa, della provocazione e della autoprovocazione, dell’aggressività, della denigrazione, del vittimismo e della vittimizzazione, subiscono una effrazione delle loro emozioni soprattutto quando gli adulti passano alla violenza fisica non solo verso gli oggetti da rompere o da sbattere ma anche contro il partner, quasi sempre la moglie. Una effrazione che i bambini ed i ragazzi non sono capaci di elaborare nel modo corretto ma solo proiettandola nei loro stessi agiti e nei comportamenti con i coetanei, senza necessariamente vivere un conflitto oppure una intolleranza, esprimendo in questo modo un comportamento “adulto” caratterizzato da parole, frasi ed interlocuzioni simili ormai ad un rodato protocollo verbale del tutto incompatibile con un più corretto vocabolario dell’infanzia.

Al netto delle parolacce e degli epiteti che precedono o rinforzano una frase (minka, cazzo etc), aggravati dai costanti “tipo” “cioè” ascolto di tanto in tanto nei bambini delle bestemmie in stile antico camionista del basso polesine sommate ad un “fraseggio” squisitamente denigratorio verso gli altri bambini, molto diverso dalla nota “cattiveria” dell’infanzia che appartiene al normale confronto tra i bambini ed i ragazzi anche condito da qualche punzecchiatura apparentemente offensiva.

Noto che, invece, oggi l’offesa e la denigrazione hanno acquisito un ruolo prevalente nella comunicazione e nel rapporto tra coetanei, fotocopia di un quadro familiare di riferimento, ragione per cui l’adesione da parte di ragazzi sempre più giovani a forme gruppali identificative nella violenza, nella denigrazione, nella discriminazione sono più frequenti e non solo indirizzo di un settore sociale disagiato o periferico. Perchè la spinta del malessere vissuto in famiglia si trasforma nell’elemento saldante del diffuso disagio da parte di una infanzia e di una adolescenza confusa, trascurata e sostanzialmente vincolata a molti “doveri” rispetto che educata al crescere, disagio che trova nel gruppo e nella banda una via di sfogo purtroppo sempre più frequentemente violenta.

i bambini rischiano di “allearsi al male” che osservono e subiscono nel rapporto intra-familiare credendo che così facendo “sconfiggono il male” che provano nel vedere i loro genitori vomitarsi addosso rancori e violenze oppure subendole direttamente, anche in forme meno eclatanti ma non per questo meno nocive.

Ogni coppia incontra dei momenti di conflitto durante i quali i toni certamente saranno meno gentili e le emozioni provate dalla frustrazione patita nel non riuscire a superare un problema, coinvolgendo anche i figli, ma se all’interno della famiglia non vi è la capacità di porsi in discussione e di individuare una mediazione utili ad affrontare, superare e risolvere i conflitti, i bambini ed i ragazzi non potranno che essere educati alla miglior gestione del conflitto stesso, grazie alla quale prevalere e niente altro.

Vi è il rischio infatti di una autoreferenzialità ben diversa dal più comune egoismo dell’infanzia, ovvero di una ipertutela del propria identificazione in un oggetto di proprietà, in una proiezione identificativa oppure nel banale orgoglio ferito per il quale alcuni adolescenti raggiungono forme di violenza prima mai viste nel nostro Paese. Tutto questo aggravato dal bisogno di essere visti tramutando la ordinaria “popolarità” in un scenario cinematografico da riperendere con i telefonini e pubblicare nei tanti vari social.

Il mondo è cambiato ma ha lasciato dietro le tante opportunità per le varie generazioni ormai adulte di crescere con il mondo, di evolversi anche sotto il profilo culturale e comunicativo proprio grazie ai tanti confronti che oggi si possono avere, proprio avendo il mondo a portata di mouse.

Osservo una diffusa immaturità in tanti genitori, quegli adulti che hanno perso il mouse potrei dire, che utilizzano solo per tradurre il gossip cartaceo di un tempo in quello digitale ma restando ancorati a delle dinamiche tanto banali quanto prive di un reale ed effettivo valore educativo in favore dei loro figli. Adulti incapaci di empatia, fortemente vincolati ad una cultura adulto-centrica che imprigiona i loro stessi figli a quei doveri che i genitori ritengono invece essere paradossalmente dei valori educativi, come gli schiaffi o la mortificazione per esempio.

Oggi è difficile comprendere quando un adulto è alterato rispetto al normale parlare, proprio perchè i toni sono spesso alti in ogni caso, conditi da parolacce e bestemmie anche per descrivere un autogol della squadra amata, allo stesso modo il linguaggio dei gesti e delle espressioni facciali sembra riproporre una mimica bellica nel semplice discutere di un comune evento.

Dovremmo, tutti noi adulti, riflettere sull’esempio che stiamo donando ai nostri figli, sulla qualità delle emozioni rispetto alle semplici sensazioni (scriverò ancora su questo passaggio) per comprendere i danni che imponiamo alle nuove generazioni le quali, oltre a identificarsi nei normali riferimenti adolescenziali, rischiano di non identificarsi affatto in quel sè stessi in evoluzione restando a loro volta immaturi e confinati in dei ruoli sociali utili solo a blindare una condizione economica da raggiungere oppure a fuggirne gli aspetti meno favorevoli con forme diverse dal sacrificio e dall’impegno.

Un genitore immaturo, privo di competenze genitoriali, non può che agire il qualunquismo ed il vittimismo ed essere perennemente in difesa, comportamenti che ormai caratterizzano anche molti bambini che manifestano forme di violenza verbale e fisica auto ed eterodiretta, tanto da rappresentamente un indice di attenzione per noi pedagogisti all’interno di un mutamento sociale omologativo, purtroppo.

Sara