
Essere donna è diventato quasi un lavoro da uomini tanto ci è richiesto da una società frustrata ed ansiogena nelle sue dinamiche sociali e politiche, non sempre degne di buon senso e di quel valore umano dettato dall’empatia e dalla reciprocità.
Siamo ormai diventate dei contenitori di pargoli in conto terzi, ove questo significa la libera scelta di una donna di donare il proprio grembo in favore di chi, per ragioni diverse e varie, non può avere un figlio biologico e sostanzialmente contratta quella che si chiama surrogazione di maternità o più volgarmente utero in affitto, esteso al commercio vero e proprio di quella infanzia priva di genitori immessa nei circuiti della adottabilità legale ( e tortuosa) ma anche illecita del traffico di minori da consegnare a coloro che, pagando, alimentano il mercato dei figli ad ogni costo.
L’Italia non è un Paese per genitori adottivi, a causa dei numerosi ostacoli burocratici e tecnici opposti non solo alle ordinarie coppie cosiddette “normodotate” cioè quelle composte da una donna (madre) e da un uomo (padre), ma anche alle coppie “non altrimenti classificate” definite in bollo tondo dai termini genitore 1 e genitore 2, anche se in tempi recenti la politica tenta di ridurre la figura genitoriale solo ad 1 mentre il 2 si trasforma nel compagno-compagna dell’1 in una confusa matematica burocratica utile solo al consenso politico in realtà.
Mi chiedono cosa ne penso, come pedagogista, come donna, come italiana, come madre, dell’utero in affitto e del fatto che chi lo noleggia è classificato in molti casi come homogenitore, ovvero una coppia formata da persone dello stesso sesso anagrafico come lo sono i gay e le lesbiche e gli esponenti del mondo lgbtqi+ su cui approfondirò le progressive sigle per capirle pienamente.
Sono una donna liberale e serena, priva di pregiudizi o di ideologie confinate, per cui non posso che esprimere il mio pensiero di pedagogista e di cittadina parte di questo mondo, nel quale ho avuto la fortuna di nascere in un luogo fortunato rispetto a quelli in cui, già nascere, è una fortuna.
Un bambino ha bisogno dei genitori per gran parte del suo percorso evolutivo fino alla propria autonomia, un tempo si sarebbe detto di una madre e di un padre mentre oggi i tempi si sono evoluti a tal punto da riconoscere la figura genitoriale tout court oltre i ruoli specifici, proprio in ragione del fatto che anche le coppie omosessuali hanno il diritto di esprimere quella genitorialità meno biologica ma non priva delle emozioni e dei sentimenti che la caratterizzano, con i quali i bambini si interfacceranno nel corso della loro crescita.
Un figlio ha bisogno soprattutto delle competenze genitoriali di chi chiamerà mamma o papà, oppure semplicemente per nome o in ogni altro modo possibile, bambino che non necessita di un fregio sociale identificativo per sesso, religione o ideologia, bensì di una capacità di ascolto e di rispetto della cultura dell’infanzia contro invece quella adulto-centrica ancora purtroppo presente alle nostre latitudini.
Competenze genitoriali che non si affittano in alcun modo, al massimo si può noleggiare la professionalità di una pedagogista per estrarle e migliorarle ma, a dire il vero, non hanno una genetica sessuale specifica tanto che, in assenza di questa, si possano ridurre i requisiti per essere un genitore e non solo diventarlo per via biologica o per il comodato gratuito di figli a lungo termine.
Penso proprio alla differenza tra l’essere un genitore e diventarlo, la quale si riconosce nella scelta della responsabilità della genitorialità nei confronti di un figlio rispetto al solo acquisire una qualifica sociale priva però di quelle indispensabili competenze che fanno di un padre, di una madre, di un genitore per contratto, un soggetto capace di educare dei figli e non solo di addestrarli.
Come pedagogista ho incontrato decine di coppie “normodotate” del tutto immature anche solo per crescere un gatto, alle quali ho dovuto offrire tutto il mio bagaglio professionale ed umano per accompagarle alla presa di coscienza delle esigenze dei loro figli, raggiungendo quella mediazione del male minore in assenza di una reale ed effettiva capacità genitoriale, almeno per evitare la sospensione della potestà.
Ho altresì assistito delle coppie libertine e meno convenzionali, tra cui coloro effettivamente incapaci per affrontare un percoso genitoriale a causa di uno stile di vita del tutto incompatibile con il rispetto delle esclusive esigenze dei minori ma, più spesso, delle persone assolutamente in grado di assumersi un ruolo così difficile indipendentemente dal loro indirizzo di genere o sessuale.
Essere dei genitori non dipende perciò dalla vita privata e sessuale delle persone, fino alla misura in cui non si cada nelle dipendenze patologiche o nelle condotte a rischio ma, questo, accade anche nelle coppie eterosessuali ed apparentemente “regolari” agli occhi del ben-pensare.
Ritengo importante che la scelta di essere un genitore non debba essere vincolata ad un pensiero politico religioso o idelogico a tal punto da ridurre la stessa libertà di scelta, sotto la scusa del presunto malessere di un figlio laddove fosse ipoteticamente confuso tra due madri o due padri o di fronte al disagio dei pregiudizi sociali ancora diffusi.
I figli hanno bisogno di esempi e di emozioni, di amore e di protezione e, non, dei simboli materiali che ne mostrano una apparente cura.
Amore, intelligenza emotiva, emozioni, empatia, ascolto, confronto, sono i reali requisiti degni di un genitore cosciente del suo ruolo di educatore ed accompagnatore del percorso evolutivo dei propri figli, non di addestratore di una infanzia da indirizzare verso l’ordine e la disciplina eterodiretta spesso deviata dalla ipocrisia di chi, invece, si dichiara razzista perchè la prostituta nigeriana non gli fa lo sconto.
Come pedagogista scindo le mie personali idee sui fatti della vita dalla scienza pedagogica, motivo per il quale cerco di esprimere il mio pensiero in modo chiaro ma equilibrato al fine di rispettare sia chi sono che quel che faccio di mestiere.
Sara